L’arte classica, con la sua valorizzazione dei principi dell’ordine e della simmetria, ha sempre rappresentato un pilastro fondamentale nella storia dell’arte. Grandi maestri come Leonardo da Vinci, Michelangelo e Raffaello hanno abbracciato questi ideali estetici per dar vita a opere straordinarie, permeate di bellezza e profondità, che ancora oggi ammiriamo e celebriamo con entusiasmo. Se è vero che l’arte classica si focalizza su una rigida struttura formale, è altrettanto vero che, di tanto in tanto, un elemento che sfugge dagli schemi classici trova un proprio posto nell’arte classica, sfidando le regole convenzionali: il capriccio.
In questo articolo, esploriamo come il capriccio si manifesta nella pittura classica e come questa composizione inconsueta abbia contribuito a trasformare le opere d’arte in eterni enigmi visivi.
L’esplorazione del capriccio nell’arte
Il capriccio è “un’opera d’arte che nasce da un’improvvisa fantasia dell’autore”. Così Filippo Baldinucci, noto storico dell’arte, politico e pittore, nel suo Vocabolario Toscano dell’Arte e del Disegno, descrive l’essenza di questa corrente artistica, evidenziando la spontaneità e l’ispirazione che ne permea il processo creativo.
Spesso utilizzato per indicare la pittura di paesaggio, il capriccio emerse durante il Rinascimento e il Barocco come una forma espressiva che offriva agli artisti dell’epoca l’opportunità di sfuggire alle restrizioni formali e di manifestare la propria creatività al di là delle convenzioni artistiche prevalenti.
Il capriccio nell’arte classica poteva manifestarsi in molte forme diverse. Poteva essere una scelta audace di composizione che rompeva con le convenzioni, un dettaglio insolito o un elemento di sorpresa che catturava l’attenzione dello spettatore e lo costringeva a riflettere. Questi momenti di imprevedibilità aggiungevano profondità e complessità alle opere, invitando il pubblico a esplorare le molteplici sfaccettature dell’arte e ad approfondirne il significato.
Le prime tracce del capriccio artistico possono essere individuate nelle opere di Alessandro Salucci e Viviano Codazzi, entrambi attivi a Roma nel XVII secolo. Nei capricci di Salucci, emerge un’esplosione di fantasia e creatività, introducendo dettagli immaginari all’interno di scenari esistenti con grande maestria. In molte delle sue composizioni, si possono riconoscere elementi ricorrenti come il portico romano, l’acqua in lontananza e figure in primo piano.
Le vedute di Codazzi, invece, presentano un approccio più realistico rispetto a quelle di Salucci. Raffigurano rovine romane o creazioni immaginarie, ma sempre mantenendo un alto grado di verosimiglianza. La luce svela con maestria archi sbrecciati e monumenti in rovina, rendendo le sue opere ancor più suggestive.

È nella pittura veneziana del XVIII secolo che il Capriccio si afferma come genere a sé stante, definendosi per la riproduzione di paesaggi architettonici fantastici e per l’integrazione di edifici reali con elementi mancanti.
In questo contesto, l’arte del capriccio scenografico attirò l’attenzione di artisti di spicco come Marco Ricci e Giovanni Ghisolfi, ottenendo notevole successo. Tuttavia, saranno soprattutto il pittore piacentino Giovanni Paolo Pannini e il veneziano Canaletto a essere ricordati come i principali esponenti di questo filone artistico. Entrambi i loro capricci ritraggono città e scene di antiche rovine, caratterizzati da dettagli inventati che si combinano senza alcun riferimento storico o topografico, ma che evocano un potente senso di suggestione. In opere come il “Capriccio con rovine classiche” (1723) di Canaletto (in anteprima), ad esempio, vediamo la piramide di Caio Cestio a Roma accostata alla Basilica Palladiana, restituendo un paesaggio che richiama una scenografia teatrale.
Le opere più tarde di Francesco Guardi, tuttavia, vanno oltre la rappresentazione pittoresca e spensierata tipica dei “theatrum mortis”. Nei suoi “capricci lagunari,” Guardi dipinge una Venezia in lento declino, con un tono drammatico e profondamente corroso dagli effetti del tempo e delle intemperie, quasi fossero visioni oniriche. Un aspetto che influenzerà anche artisti più moderni, tra cui Salvador Dalí che ha introdotto elementi di capriccio surreale nella sua “Persistenza della Memoria”, deformando il tempo e lo spazio in modo straordinario.

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